Autori:
Dott. Guglielmo Zanotti
DDS, MSC , Specialista Ambulatoriale interno ULSS9 Scaligera di Verona, Libero professionista a Verona
Dott. Umberto Luciano
DDS, MSC , Libero professionista a Verona
Pietro Montagna
Studente Università di Verona
Dott. Federico Gelpi
DDS, MSC , Libero professionista a Verona
Dott. Riccardo Nocini
MD, Specializzando Otorinolaringoiatria Università di Verona
Prof. Daniele De Santis
DDS, MSC , Specialista Ambulatoriale interno ULSS9 Scaligera di Verona, Libero professionista a Verona
INTRODUZIONE
Nella società contemporanea il professionista odontoiatrico si trova a dover bilanciare il miglior approccio auspicabile per lo specifico paziente con le richieste e le aspettative dello stesso, queste ultime influenzate da diversi fattori socioculturali ed economici.
Tra i sopra citati elementi presenta particolare rilevanza il sintomo dolorifico, concettualizzato nel paradigma duale “pain-avoidance versus reward-seeking”:1 qualora al raggiungimento di un obiettivo si interponga la presenza di dolore, o l’aspettativa dello stesso, il numero di coloro che antepongono il raggiungimento dell’obiettivo al dolore è inferiore rispetto al numero di coloro che ritardano suddetto raggiungimento o che lo abbandonano completamente, in proporzione all’intensità del dolore atteso o percepito e alla determinazione nel raggiungimento dell’obiettivo stesso.
Tale modello deve, ad oggi, essere correlato alla variazione del concetto sociologico di sofferenza fisica e psichica, in accordo con quanto espresso da Illich nel 1976. Nella cultura tradizionale il dolore era interpretato quale componente imprescindibile dell’esistenza stessa, costitutivo della vita quanto della morte; in accompagnamento allo sviluppo della cultura cosmopolita, nel XXI secolo, sopra citato elemento è progressivamente scemato ed il dolore viene identificato come il fallimento del sistema socioeconomico moderno, richiedendo una sua estraneazione dall’esistenza societaria, così come dalla quotidianità individuale e legittimando dunque il sottrarsi dallo stesso in tutte le sue manifestazioni,2,3 non come scelta individuale, ma bensì in qualità di fine comunitario. Il nuovo millennio ha conseguentemente portato ad una vasta proposta in ambito medico-odontoiatrico di terapie farmacologiche ausiliarie, sulla base dell’ampia richiesta da parte del paziente, anche pediatrico,4 non supportata però da una pari proposta di terapie psicologiche coadiuvanti, impedendo al paziente di affrontare la fobia odontoiatrica e permettendogli di evitarla.
Dall’integrazione di suddetti aspetti con i recenti cambiamenti economici ed etnico-demografici, che hanno determinato un generale impoverimento della popolazione,5 il paziente è maggiormente accomodante all’esecuzione di approcci mininvasivi, rapidi e meno dolorosi, apprensivi del rapporto del paziente stesso nei confronti del pathos.6 A conferma dei summenzionati tasselli, convergenti in un quadro societario estremamente complesso ed eterogeneo, l’individuazione di un obiettivo comune tra clinico e paziente, che permetta di raggiungere il corretto bilanciamento tra l’invasività della cura, la sua appropriatezza nei confronti della fattispecie clinica e l’onere emotivo-economico a cui il paziente è disposto a sottoporsi, risulta di primaria e costitutiva importanza nella pratica quotidiana dell’odontoiatra, per la buona riuscita della terapia.7,8 In tale ottica il caso riportato riprende la necessità di eseguire una riabilitazione protesico-implantare che si confaccia alla scarsa propensione del paziente a sottoporsi ad interventi invasivi e/o dalle tempistiche più elevate, garantendo, ciononostante, un valore clinico appropriato della cura9,10 sicuramente all’avanguardia,11 sebbene supportato dalla comunità scientifica.12,13,14
CASO CLINICO
Il caso prevede la presa in cura di un paziente maschio adulto (48 anni) con anamnesi medica negativa, ma con una limitata predisposizione alle cure odontoiatriche causa spiacevoli esperienze precedenti. Il suddetto paziente, di conseguenza, ha richiesto un approccio mininvasivo che evitasse qualsiasi scelta di chirurgia exodontica, preservando dunque gli elementi dentari presenti e precludendo in modo tassativo qualunque forma di chirurgia rigenerativa ossea, sia essa espansiva od appositiva, verticale od orizzontale.
A seguito dell’esame obiettivo del cavo orale, lo studio del caso attraverso l’analisi della gipsodocumentazione e della documentazione radiografica, quest’ultima includente una tomografia computerizzata mascellare, ha permesso di realizzare una progettazione mininvasiva, tramite l’impiego di tecnologie,11 tecniche9,10 e materiale all’avanguardia,16 validata dalla comunità scientifica12,13,14 ed associata ad un pragmatico “buon senso” clinico. La riabilitazione del cavo orale del paziente ha previsto quindi il mantenimento dei monconi dentari in posizione 1.6-2.3-2.4 e l’inserimento di impianti, con relativi monconi implantari differiti, in posizione 1.5-1.4-2.2 come sostegno di una protesi totale amovibile ancorata agli elementi suddetti mediante attacchi conometrici.15
Al suddetto progetto terapeutico è stato poi deciso di abbinare la necessaria esecuzione di rialzi occlusali sugli elementi dentari 4.5-4.4-3.4-3.5 per riequilibrare la curva di Spee.17 Inoltre, su richiesta del paziente, è stato concordato di preservare, previo trattamento conservativo, l’elemento dentario 4.8 e l’elemento implantare 1.2, avendo però reso edotto il paziente riguardo l’inutilità dell’elemento 4.8 a livello masticatorio, al punto da preannunciarne la conclusiva odontoplastica mesiale finale, e l’impossibilità di utilizzo protesico dell’elemento 1.2, causa frattura di una porzione del margine implantare, tale da rendere insostenibile qualsiasi carico.
La preparazione del caso del paziente ha previsto l’esecuzione di foto iniziali, modelli di studio, analisi radiografica preventiva della disponibilità ossea (Figg. 1, 2), al fine di indicare anticipatamente la lunghezza e il diametro implantare, ed una analisi occlusale preventiva, al fine di ottenere una dima prechirurgica indicante l’inclinazione ideale ai fini protesici.
In primo luogo sono stati eseguiti una seduta di igiene orale professionale e il restauro conservativo in resina composita dell’elemento dentario 2.3, sfruttando il perno presente. Successivamente è stata eseguita la limatura sotto gengivale, con preparazione “a finire”, di suddetto elemento e la successiva copertura dello stesso, mediante la realizzazione di un manufatto protesico primario conometrico in lega cromo-cobalto.
Inoltre, è stata eseguita la lucidatura dei manufatti protesici primari conometrici preesistenti sugli elementi dentari 1.6-2.4.
In seguito, è stato predisposto l’utilizzo della protesi mobile preesistente (Fig. 3) come protesi provvisoria, ancorata temporaneamente al solo attacco a “pallina”, sul pregresso impianto 1.2, previa stabilizzazione del suddetto attacco in sede, mediante cianoacrilato, al fine di impedire la rotazione dello stesso, che avrebbe altrimenti comportato la disinserzione dall’impianto, a causa della frattura nel margine mesiale del collare perimplantare riscontrata inizialmente.
In secondo luogo, a distanza di qualche settimana, si è proceduto con la prima fase chirurgica, preparando il paziente mediante una terapia ausiliaria prechirurgica psicologica, che lo aiutasse ad affrontare l’intervento nell’ora precedente, e farmacologica di supporto, tramite somministrazione di Diazepam, 20 gocce poco prima dell’intervento. Il paziente è stato dunque accomodato e preparato secondo le tradizionali norme igienico-sanitarie per il raggiungimento della massima sterilità. È stata dunque trattata la superfice gengivale tramite un anestetico topico e successivamente è stata inoculata l’anestesia plessica a livello del microcircolo del fornice vestibolare superiore e a livello palatale.
Ha seguito quindi l’incisione obliqua dei tessuti a livello paracrestale vestibolare con scollamento del tessuto, a medio spessore vestibolarmente e a tutto spessore palatalmente. L’esposizione ossea totale ha permesso l’esecuzione della fresatura esplorativa mediante fresa a lancia (diametro 1,9 mm) a 5 mm nelle sedi 2.2, 1.4 e 1.5, seguendo i dettami della dima prechirurgica. A seguito della verifica della solidità ossea (D3 classificazione di Misch),18 è stata eseguita mediante sonda implantare la prima fresatura a 5 mm (diametro 2,2 mm) sempre mantenendo la dima prechirurgica, per poi rimuoverla e completare la fresatura, seguendo l’inclinazione ottenuta fino a 13 mm.
È stata successivamente eseguita una seconda fresatura per 3 mm (diametro 2,8 mm) al fine di impedire un’eccessiva pressione ossea da parte dell’elemento implantare durante l’inserimento. Vengono pertanto inseriti tre impianti dal diametro di 2,9 mm e lunghezza di 12 mm (Fig. 4) fino a 2 mm sotto la cresta ossea, per favorire l’estetica protesica.16
A seguito dell’inserzione del tappo di chiusura su ogni elemento implantare, è stata eseguita una ortopantomografia di controllo per verificare la “bontà” dell’intervento (Fig. 5).
Il sito è stato poi suturato accuratamente. La protesi totale provvisoria è stata ribasata tramite un ribasante siliconico morbido al fine di permettere il minor carico possibile sul sito chirurgico. Il paziente è stato dunque dimesso a seguito di indicazioni farmacologiche antibiotiche battericide e antinfiammatorie ad indicazioni post-chirurgiche. Allo stesso sono state inoltre raccomandate un’accurata igiene e, per la prima mensilità, una dieta morbida. A distanza di due settimane, la sutura è stata rimossa.
In terzo luogo, concluso il trimestre successivo all’intervento, si è proceduto con il controllo radiografico conclusivo riguardante il raggiungimento della completa osteointegrazione degli elementi implantari. L’esito positivo del suddetto ha permesso di procedere con la seconda fase chirurgica di riapertura per l’applicazione di tappi di guarigione Standard sugli elementi implantari in posizione 2.2, 1.4 ed 1.5 (Fig. 6).
Per la seconda fase chirurgica di riapertura si è quindi nuovamente preparato il paziente mediante una terapia ausiliaria prechirurgica psicologica e farmacologica, analogamente a quanto descritto in precedenza.
Dopo 14 giorni i tappi di guarigione sono stati rimossi e sostituiti da monconi MUA (Figg. 7, 8). In sede 1.5 è stato utilizzato un moncone MUA con angolazione 7,5° e GH 5 mm, in sede 1.4 un MUA con angolazione 15° e GH 5 mm ed in sede 2.2 un MUA diritto GH 7 mm. Infine, in tutte le sedi sono stati avvitati adattatori Conic con un’emergenza conica con semi-angolo a 5° per trasformare i monconi MUA in monconi conometrici primari (Figg. 9, 10). La protesi totale provvisoria è stata quindi riadattata con lo scopo di permetterne l’utilizzo, lasciando i monconi MUA-Conic in sede.
Successivamente è stata eseguita una prima impronta di precisione in polisolfuro (Fig. 11), a partire dal cucchiaio individuale precedentemente realizzato, associata a foto del viso e del sorriso del paziente.
Mediante l’utilizzo dei valli in cera posizionati sulla flangia provvisoria è stata eseguita la rilevazione della dimensione verticale, il riscontro della corretta “chiave” d’occlusione, tramite una precisa masticazione su cera ausiliaria dedicata, e l’indicazione della linea mediana interdentale relazionata alla punta del naso e del mento (Fig. 12).
Infine, è stata eseguita la prova denti, prima estetica anteriore e, a seguire, funzionale posteriore, accompagnata dalla contemporanea realizzazione di rialzi occlusali in resina composita degli elementi dentari 3.4-3.5-4.4-4.5, al fine di equilibrare la masticazione migliorando la curva di Spee del paziente.17
Nella stessa seduta è stata perpetrata anche la prova fonetica, associata ad un ulteriore valutazione estetica da parte di un familiare.
Quale ultimo passaggio alla protesi sono state inglobate, in laboratorio odontotecnico, tre corone conometriche secondarie in lega cromo-cobalto calibrate per le tre corone conometriche primarie presenti sugli elementi 1.6-2.3-2.4, solidarizzate ad una base portante in lega cromo-cobalto. Al momento della consegna sono state inserite nella protesi, mediante ribasante resinoso (polimetilmetacrilato), tre cappette conometriche secondarie in PEEK (cappette Mobile), calibrate per i monconi conometrici primari sugli elementi implantari 1.5-1.4-2.2 (Figg. 13, 14), ed è stata eseguita l’odontoplastica mesiocclusale dell’elemento dentario 4.8 affinché non interferisse con l’equilibrio masticatorio ottenuto (Figg. 15-17).
Allo scadere della prima mensilità è stato eseguito il primo controllo clinico, riguardante la stabilità degli impianti, della componentistica protesica intermedia e della struttura gengivo-tissutale. Allo scorrere del primo trimestre postumo alla consegna è stato eseguito il secondo controllo clinico e radiografico, per analizzare la stabilità degli impianti, della componentistica protesica intermedia e della struttura gengivo-tissutale, associato ad un’igiene professionale.
In entrambi i rilievi effettuati la stabilità degli impianti, della componentistica protesica e della struttura gengivo-tissutale è risultata ottimale, accompagnata, nel secondo esame, dall’evidenza radiografica di una completa osteointegrazione. Si è lasciato correre un ulteriore trimestre per eseguire una nuova igiene professionale ed una nuova documentazione fotografica.
L’igiene professionale è stata perpetrata trimestralmente per la prima annualità, garantendo una terapia di mantenimento gengivale dei canali mucosi extraimplantari e rendendo conscio il paziente dell’importanza di tali attenzioni al fine di una durata ottimale della riabilitazione protesica.
Il controllo clinico e radiografico annuale della stabilità implantare, della componentistica protesica intermedia e gengivo-tissutale si è rivelato positivo sia clinicamente che radiograficamente, riscontrando un unico episodio di mucosite a livello dell’impianto in sede 1.2, non sfruttato poiché fratturato, che è stata risolta mediante terapia perimplantare di supporto laser assistita. Al termine della terapia il paziente è stato istruito ad eseguire igieni professionali ogni quadrimestre, al fine di favorire la longevità della riabilitazione implanto-protesica realizzata. Decorsa la seconda annualità è stato eseguito un controllo clinico e radiografico della stabilità che ha portato ad esito positivo (Fig. 18).
DISCUSSIONE
La necessità di individuare una terapia che risponda alle richieste ed ai bisogni clinici del paziente risulta costitutiva nell’odierna professione odontoiatrica. Nella fattispecie del caso riportato, il paziente ha richiesto un intervento ricostituente la funzionalità, nonché la morfologia, del sistema stomatognatico, declinando però la proposta di un approccio implantare classico, che avrebbe richiesto modifiche agli spessori ossei disponibili.19
Il paziente ha altresì declinato la possibilità di eseguire l’exodonzia degli elementi presenti nel cavo orale dello stesso in posizione 1.2 (elemento implantare) e 4.8 (elemento dentale), complicando ulteriormente il progetto riabilitativo. Nell’ottica del raggiungimento di un fine comune, il paziente ha accettato, coadiuvato dalla plasticità decisionale del clinico, di sottoporsi ad una riabilitazione protesica amovibile supportata, mediante connessione conometrica, da impianti dentali di ultima generazione, dimostratisi capaci di fronteggiare le forze masticatorie sviluppate nel cavo orale,16 nonostante il diametro ridotto.
La comunità scientifica nell’ultimo decennio si era già pronunciata a favore di riabilitazioni protesiche amovibili supportate, mediante connessione conometrica, da impianti dentali,12,13,14 ma, nel caso riportato, il trattamento previsto ha compreso l’impiego di dispositivi implantari dal diametro minimo (2,9 mm), sfruttando la disponibilità ossea ab origine senza ulteriori modifiche, inseriti nelle sedi 2.2, 1.4 e 1.5, associati ai monconi dentali residui in sede 1.6, 2.3 e 2.4, mediante un dispositivo protesico sviluppato ad accoppiamento conometrico totale amovibile su supporto misto dento-implantare.15.
A coronamento del progetto riabilitativo si è inoltre scelto di riequilibrare il piano masticatorio, applicando rialzi occlusali in composito sugli elementi dentari antagonisti in posizione 4.5, 4.4, 3.4 e 3.5, al fine di garantire una maggior stabilità all’intero sistema stomatognatico17 e quindi una maggior durata alla riabilitazione implantoprotesica effettuata.
L’azzardo terapeutico, dovuto alla scelta di sfruttare impianti dal diametro minimo 2,9 mm, è stato riequilibrato dalla certezza dell’appoggio supplementare contemporaneo sui monconi dentali residui, permettendo un’equa distribuzione del carico masticatorio. Infine, in primo luogo la protesi amovibile, ancorata ai monconi dentali e implantari, ha permesso di superare le possibili problematiche di stabilità a lungo termine dovute alla differente mobilità dei monconi suddetti (elemento dentale 150µ – elemento implantare circa 0µ),9 altrimenti probabili se la scelta fosse ricaduta su di una protesi a ponte fissa cementata o avvitata.9,19,20,21
In secondo luogo, la connessione conometrica ha permesso di conferire un consolidamento del sistema di ancoraggio misto implanto-dentale,22,23 una corretta distribuzione delle forze masticatorie perpendicolari ai monconi, ed una riduzione al minimo delle forze tangenziali ai monconi,24 generate dalla rimozione giornaliera, causa la rigida modalità di disinserzione quasi perpendicolare ai monconi, impossibile da ottenere attraverso sistemi di connessione semplici a pallina.
CONCLUSIONE
In tale scenario il piano terapeutico accolto non solo ha permesso di raggiungere ottimi risultati clinici, in un paziente che altrimenti non si sarebbe sottoposto ad alcuna terapia, ma ha permesso di ottenere ulteriori vantaggi.25 In primis l’impiego di un dispositivo amovibile ha consentito una miglior detersione domiciliare dei monconi, con riduzione del fallimento nel medio-lungo termine in pazienti con scarsa igiene orale, facilitando inoltre il riadattamento del dispositivo, qualora la stabilità dei pilastri dentali dovesse risultare compromessa nel tempo.
In secondo luogo la riduzione dell’invasività operatoria, assistita dalla consapevolezza da parte del paziente di aver ritrovato nell’odontoiatra una figura in grado di comprendere i suoi timori e dimostrare duttilità terapeutica, ha permesso di ridurre l’ansia anticipatoria nel soggetto e adottare, conseguentemente, un approccio psicologico e farmacologico ansiolitico, che diversamente si sarebbe dovuto assestare con tutta probabilità su un livello maggiore di depressione del livello di coscienza, raggiungendo lo stato di sedazione.
Realizzazioni protesiche:
Daniele Iattarelli – Verona
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