Prove di flessione a fatica su Impianti Leone di diametro 3,3 mm

Ottobre, 2013
Exacone News 17

Autore: Ing. Giulio Taddei.

Introduzione

In implantologia, tanto la pratica clinica quanto la letteratura scientifica[1,2,3] mostrano come l’applicazione di forze elevate sugli impianti dentali possa portare a complicanze protesiche di varia natura. Forze di grande entità possono svilupparsi in bocca in seguito a realizzazioni protesiche approssimative o improprie (normalmente a causa di elevati bracci di leva o di un ridotto numero di impianti rispetto al tipo di protesi scelta), presenza di parafunzioni occlusali (es. bruxismo) o malocclusioni oppure, a volte, semplicemente per le caratteristiche gnatologiche del paziente, in grado di sviluppare carichi masticatori elevati, in particolare nelle zone posteriori del cavo orale.

Un elevato braccio di leva si sviluppa sostanzialmente in due casi: quando una forza inclinata agisce sulla protesi a notevole distanza in direzione apico-coronale dal colletto implantare (es. in caso di corona molto lunga) oppure quando una forza, sia verticale che inclinata, agisce ad elevata distanza in direzione mesio-distale dall’asse implantare (es. elevato cantilever protesico). In particolare l’applicazione ripetuta nel tempo di forze flessionali risulta essere potenzialmente critica per gli impianti dentali. Per questo motivo in passato, durante lo sviluppo del sistema implantare Leone, sono state eseguite delle prove a fatica su impianti di diametro 4,1 mm, che hanno fornito eccellenti risultati grazie alla loro connessione a cono Morse[4,5].

Si ricorda che un carico flettente è un carico che agisce in direzione differente da quella dell’asse del sistema impianto-moncone, mentre si parla di prove a fatica quando si applica sul sistema implantare un carico ripetuto che varia ciclicamente nel tempo. Si presentano di seguito i risultati relativi allo stesso tipo di prove eseguiti su impianti Leone di diametro 3,3 mm, in modo da quantificare la resistenza a fatica del sistema anche per il suo diametro di connessione più piccolo. In letteratura si parla solitamente di “impianti di piccolo diametro” quando il diametro implantare è minore di 3,75 mm[6], anche se talvolta si fa riferimento a criteri leggermente differenti (es. diametro minore o uguale di 3,5 mm)[7]. Gli impianti di piccolo diametro sono oggigiorno largamente utilizzati, ma è ovvio che le ridotte dimensioni portano inevitabilmente ad una diminuzione della resistenza meccanica, quindi risulta di grande importanza conoscere le loro effettive prestazioni.

Materiali e metodi

A livello tecnico esiste una sola norma relativa all’esecuzione di test meccanici su impianti dentali: si tratta della norma internazionale ISO 14801 “Dentistry – Implants – Dynamic fatigue test for endosseous dental implants”, giunta nel 2007 alla sua seconda edizione[8]. Tale norma non stabilisce una soglia di accettabilità per i diversi sistemi implantari ma definisce semplicemente un protocollo per l’esecuzione delle prove, in modo da rendere i risultati ottenuti su differenti sistemi confrontabili gli uni con gli altri.

Le analisi a fatica sono state svolte dal Dipartimento di Meccanica e Tecnologie Industriali della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Firenze, a cui la Leone ha affidato l’incarico di effettuare i test. Le prove sono state effettuate in accordo alla suddetta norma ISO 14801, secondo le cui indicazioni è stata appositamente costruita l’attrezzatura necessaria per la loro esecuzione.

Per ciascun campione si è avvitato un impianto Ø3,3 mm all’interno di un supporto appositamente realizzato e si è fissato un moncone cilindrico Standard (fig. 1), leggermente modificato in testa in modo da avere una calotta emisferica di pezzo e un’altezza di 11 mm come richiesto dalla norma;

si è poi attivata la connessione conometrica in accordo al protocollo protesico (applicando cioè 2 battute con l’apposito percussore per monconi a punta diritta cod.156-1008-03). La direzione di applicazione del carico aveva un’inclinazione di 30° rispetto all’asse dell’impianto, mentre la forza era applicata sulla testa del moncone, determinando un braccio di applicazione pari a 5,5 mm (fig. 2). La frequenza di applicazione del carico è stata impostata a 2 Hz, che significa applicare sul moncone due colpi al secondo.

La norma prevede di eseguire inizialmente una prova di flessione statica sul sistema e di registrarne il valore di cedimento. Per cedimento del campione si intende la rottura o una significativa deformazione permanente di un componente del sistema, in modo che ne sia pregiudicata la funzionalità.

Dopo la prova statica si è proceduto all’esecuzione delle prove a fatica a diversi livelli di carico, partendo da un valore prossimo a quello di cedimento statico del sistema stesso, per poi abbassare progressivamente il carico fino alla determinazione del cosiddetto “limite di fatica” del sistema. Il limite di fatica è individuato dal valore di carico massimo in corrispondenza del quale si raggiungono almeno 3 sopravvivenze dei provini in seguito all’applicazione di due milioni di cicli (fig. 3). Un provino si considera “sopravvissuto” quando è rimasto integro, cioè non è giunto a cedimento.

Risultati

La prova statica è stata eseguita su tre provini; la media dei tre risultati definisce il carico massimo sopportabile staticamente dal sistema. Il carico massimo relativo alla prova a fatica, che costituisce il limite di fatica del sistema, è stato ottenuto come indicato in precedenza.

Di seguito si riportano i risultati ottenuti nelle prove di flessione statica e a fatica.

    • Prova statica, carico max:  370 N
  • Prova a fatica, carico max: 240 N

Discussione

Ogni sistema o componente meccanico presenta un limite di resistenza legato a vari fattori (geometria, materiale, ecc.). Nella definizione del limite di resistenza di un sistema implantare la prova a fatica risulta la più significativa per due ragioni: il carico ciclico rappresenta la tipologia di carico più critica – cioè che può portare al cedimento del sistema in corrispondenza di forze più basse – ed è anche quello che meglio riproduce la natura del carico masticatorio.

Sulla base dei dati sulla frequenza quotidiana dei cicli masticatori riportati in letteratura, i due milioni di cicli applicati in accordo alla norma corrispondono ad una durata dell’impianto in bocca di circa dieci anni.

Per avere dei parametri di confronto che consentano di valutare i risultati ottenuti, si può fare riferimento agli impianti di piccolo diametro delle principali case implantari sottoposti allo stesso tipo di prove, sempre in accordo alla norma ISO 14801, i cui dati sono stati pubblicati.

Nel caso dell’impianto Nobel Active™ NP (Nobel Biocare) Ø3,5 mm (quindi di diametro maggiore rispetto all’impianto Leone testato) si è ottenuto un limite di fatica di 222 N[9]. Nel caso dell’impianto Bone Level Roxolid® (Straumann) Ø3,3 mm (cioè con diametro identico a quello Leone testato) il limite di fatica è stato determinato in 210 N[10]. Una tabella comparativa pubblicata sempre sul sito della Straumann mostra come, nel caso dell’impianto Astra Osseospeed® (Dentsply) 3.5S (cioè Ø3,5 mm, anch’esso di diametro maggiore rispetto a quello Leone), il limite di fatica sia persino inferiore a 130 N.

Il valore di 240 N ottenuto su impianti Leone di diametro 3,3 mm è quindi superiore a quello degli impianti a connessione avvitata più noti aventi diametro uguale o persino leggermente superiore.

Un altro risultato molto importante è dato dal fatto che il cedimento che si è riscontrato sul sistema Leone agli elevati livelli di carico della prova si è sempre verificato sul moncone, mai sull’impianto. Al contrario, nel caso delle sistematiche a connessione avvitata può accadere che si fratturi l’impianto, come rilevato in uno studio su impianti MIS (MIS Implants Technologies) Ø3,3 mm nel 100% dei provini testati[11], rendendo inutilizzabile l’elemento implantare.

Risulta pertanto evidente anche da questa campagna di prove come la connessione a cono Morse assicuri una resistenza meccanica superiore a quella di qualsiasi altro tipo di connessione impianto-moncone.

Come ulteriore elemento di valutazione, stavolta in termini assoluti, si può fare riferimento ai valori del carico masticatorio riportati in letteratura[12,13,14,15]. Trattandosi di una prova ciclica, è necessario considerare i valori medi (e non quelli massimi) del carico masticatorio, pari a circa 200 N ma – e non è un fattore trascurabile – con inclinazioni molto minori dei 30° imposti dalla norma. Questo sta a significare che i risultati ottenuti sono confortanti e presentano un buon margine di sicurezza rispetto alle sollecitazioni che normalmente agiscono sugli impianti.

D’altro canto è risaputo come il carico masticatorio vari in maniera significativa a seconda della posizione dell’arcata che si considera, aumentando man mano che ci si sposta verso i settori posteriori. Le forze che si sviluppano in zona molare hanno entità tali da poter risultare pericolose per l’integrità delle componenti implantari, per questo motivo l’impiego di impianti di piccolo diametro come elementi singoli nelle regioni posteriori è comunemente controindicato.

Bibliografia

[1] Huang HM, Tsai CM, Chang CC, Lin CT, Lee SY, Evaluation of loading conditions on fatigue-failed implants by fracture surface analysis, Int J Oral Maxillofac Implants 2005; 20:854–859
[2] Gervais MJ, Wilson PR, A rationale for retrievability of fixed, implant-supported prostheses: a complication-based analysis, Int J Prosthodont. 2007 Jan-Feb; 20(1):13-24
[3] Levine RA, Clem DS 3rd, Wilson TG Jr, Higginbottom F, Solnit G, Multicenter retrospective analysis of the ITI implant system used for single-tooth replacements: results of loading for 2 or more years, Int J Oral Maxillofac Implants. 1999 Jul-Aug;14(4):516-20
[4] Gamberini T, Prove di flessione a fatica su impianti dentali, Exacone News n.2
[5] Barlattani A, Sannino G, Mechanical evaluation of an implant-abutment self-locking taper connection: finite element analysis and experimental tests, Int J Oral Maxillofac Implants 2013; 28:e17-e26
[6] Shemtov-Yona K, Rittel D, Levin L, Machtei EE, Effect of Dental Implant Diameter on Fatigue Performance. Part I: Mechanical Behavior, Clin Implant Dent Relat Res 2012 Jul; 10
[7] Sohrabi K,Mushantat A, Esfandiari S, Feine J. How successful are small-diameter implants? A literature review, Clin Oral Implants Res 2012; 23:515–525
[8] ISO 14801:2007 (E), Dentistry – Implants – Dynamic fatigue test for endosseous dental implants, International Organization for Standardization, Geneva, 2007
[9] The NobelActive™ technical story
[10] www.straumann.com
[11] Shemtov-Yona K, Rittel D, Machtei EE, Levin L, Effect of Dental Implant Diameter on Fatigue Performance. Part II: Failure Analysis, Clin Implant Dent Relat Res 2012 Jul; 10
[12] Okeson JP, Criteria for optimum functional occlusion, In: Management of Temporomandibular Disorders and Occlusion-3. St. Louis, MO: Mosby, 1993:119–124
[13] Brunski BJ, In vivo bone response to biomechanical loading at the bone/dental-implant interface, Adv Dent Res 1999 Jun; 13:99-119
[14] Tortopidis D, Lyons MF, Baxendale RH et al, The variability of bite force measurement between sessions in different positions within the dental arch, J Oral Rehabil 1998; 25:681-686
[15] Bidez MW, Misch CE, Clinical biomechanics in implant dentistry, Contemporary Implant Dentistry, ed.2, ST Louis:CV Mosby, 1999:303-316
[16] Mangano C, Mangano F, Muscas M, Figliuzzi M, Piattelli A, Studio prospettico multicentrico su 2707 impianti a connessione conometrica, Implantologia QE 2010; 2:13-23
[17] Mangano C, Mangano F, Mangano A, Macchi A, Corone singole su impianti a connessione conometrica: studio prospettico da 1 a 7 anni, Implantologia QE 2011; 2:33-43

Ottobre, 2013 - Exacone News 17