Autori: Dr. Vittorio Zavaglia, Dr.ssa Alessandra Nori, Dr. Raffaele Vacirca
La riabilitazione protesica, e in particolare quella realizzata su impianti, presenta notevoli difficoltà nel paziente disabile poiché la capacità di collaborazione, anche se massima relativamente all’handicap, condiziona fortemente le modalità d’intervento.
Infatti nel paziente disabile le diverse fasi di realizzazione della protesi su impianti possono avere dei limiti progettuali e/o richiedere l’ausilio della sedazione endovenosa o dell’anestesia generale.
Sulla base della nostra esperienza, a partire dal 1996, sono stati stabiliti alcuni criteri preferenziali per la realizzazione di un progetto implantoprotesico: il risparmio biologico dei tessuti dentali, il mantenimento di una buona igiene domiciliare, la sostituzione di un dente singolo, la localizzazione anteriore degli impianti e il contenimento del numero di sedute.
La selezione dei pazienti da sottoporre a trattamento implantoprotesico prevede un’accurata anamnesi, una corretta valutazione dell’anatomia della zona ricevente e della situazione funzionale, delle condizioni psicologiche e soprattutto della collaborazione nella fase chirurgica, post-chirurgica, protesica e di mantenimento.
Nell’arco di dieci anni di esperienza abbiamo utilizzato il protocollo standardizzato da Brånemark (1977) per l’osteointegrazione, che richiede una fixture sommersa nell’osso, un periodo di guarigione di 3-6 mesi e l’assenza di carico.
L’avvento del carico immediato in implantoprotesi ha posto il problema di verificare se questo nuovo obiettivo poteva essere raggiunto nel paziente disabile tramite la progettazione di una protesi a carico immediato utilizzando un sistema implantare che adotta la connessione impianto-moncone di tipo conometrico puro.
Per carico immediato s’intende l’applicazione di carichi e forze sugli impianti subito dopo il loro posizionamento; tale carico può avvenire al termine della seduta chirurgica (Huraka e Borelli 1993, Ledermann 1996, Piattelli 1997, Brånemark 1999, Horiuchi 2000), o entro 24 ore dal posizionamento dell’impianto (Ericsson 2000), o entro 72 ore (Piattelli 1998, Jaffin 2000), oppure entro 7 giorni (Levine 1998, Salama 1998).
Il successo del protocollo del carico immediato su impianti è dato da un’ottima stabilità primaria, dalla protezione dell’interfaccia osteoimplantare, dal sovraccarico e, non ultimo, dalle dimensioni del microgap esistente a livello della connessione impianto-moncone in cui si accumulano specie batteriche anaerobiche responsabili di peri-implantiti, riassorbimento della cresta ossea e cattivo odore.
La stabilità primaria dipende dalla qualità dell’osso (D1-D2), dalla quantità d’osso (bicorticalismo), dalla geometria dell’impianto (disegno macroscopico a vite), dalla tecnica chirurgica di preparazione, dalla presenza di uno splintaggio rigido degli impianti e dal posizionamento di un numero elevato di impianti (4-10).
Nel carico immediato l’osteointegrazione è possibile in presenza di carichi funzionali applicati immediatamente dopo l’inserimento degli impianti purché questi non vengano sovraccaricati.
Per sovraccarico s’intende la soglia critica di micromovimenti all’interfaccia osso-impianto (50-150 µm) in funzione delle caratteristiche superficiali e del disegno implantare.
I micromovimenti indotti dalle forze funzionali all’interfaccia impianto-osso durante la guarigione stimolano la formazione di tessuto fibroso invece che di osso con fallimento dell’osteointegrazione.
Alcuni accorgimenti tecnici per ottenere il successo nel carico immediato sono l’uso di un impianto lungo e di diametro adeguato, che abbia una superficie trattata (TPS, HA e superfici sabbiate e mordenzate), l’assenza di maschiatura del sito ricevente, la solidarizzazione degli impianti. Inoltre vi sono altri fattori che determinano il successo del carico immediato e sono: la situazione anatomica locale, le fasi protesiche, la selezione dei pazienti.
Per ciò che riguarda la situazione anatomica locale a livello della mandibola, la zona interforaminaria è la più favorevole per la presenza di osso denso e corticali spesse (bicorticalismo), mentre a livello del mascellare superiore abbiamo un osso di qualità inferiore con corticali più sottili e con un volume osseo disponibile, nelle zone distali, minore rispetto alle zone anteriori per la presenza dei seni mascellari; abbiamo comunque in entrambi i casi elevate percentuali di successo.
Riguardo le fasi protesiche bisogna avere degli accorgimenti che contribuiscano alla protezione dell’interfaccia osso-impianto, vale a dire una corretta distribuzione in arcata degli impianti, uno schema occlusale protettivo (carichi verticali) e un adattamento passivo della struttura protesica.
Infine, la selezione del paziente deve avvenire tenendo in considerazione che sono controindicazioni generali il fumo, il diabete non compensato, la radioterapia, mentre sono controindicazioni locali l’atrofia estrema, le parafunzioni, la densità ossea di tipo IV, l’elevata discrepanza intermascellare, la scarsa igiene orale.
Le difficoltà che si incontrano nella riabilitazione protesica dei pazienti scarsamente collaboranti impongono la ricerca di terapie più rapide e meno invasive mantenendo i requisiti di qualità che devono restare gli stessi di quelli scientificamente codificati.
L’utilizzo del carico immediato su impianti, nella nostra esperienza anche se in fase iniziale, può costituire una valida risposta a queste esigenze tenendo conto dei vantaggi che tale metodica può presentare in questo tipo di pazienti.
Il maggiore vantaggio è rappresentato dall’utilizzo, fra le tante esistenti, della connessione conometrica, e dal sigillo che si crea all’interfaccia moncone-impianto che facilita il rispetto dei tessuti peri-implantari.
Sono vantaggiosi inoltre la flessibilità protesica (facilità di riposizionamento del transfer nell’analogo senza errori di posizione, assenza di usura delle parti costituenti l’ancoraggio, presente invece nei sistemi avvitati durante le fasi di laboratorio), le tolleranze eccellenti, l’alta precisione meccanica, l’elevata stabilità dell’interfaccia, il facile uso clinico (contenimento del numero delle sedute), il profilo di emergenza e l’estetica ottimali, l’ottimo rapporto qualità -prezzo.
Caso clinico
Il caso clinico di seguito presentato riguarda una paziente di 41 anni affetta da corea di Huntington la cui collaborazione seppure buona era saltuaria e prevalentemente legata alla variabilità dell’umore, anche nel contesto di una singola seduta.
Giunta alla nostra osservazione la paziente presentava un’edentulia parziale a carico dell’arcata superiore e inferiore con presenza di elementi dentali già preparati per manufatti protesici successivamente rimossi e presenza di protesi parziale rimovibile (fig. 1).
L’ortopantomografia (fig. 2) evidenziava residui radicolari multipli, granulomi apicali e otturazioni incongrue.
Sono state effettuate le cure conservative ed endodontiche, la paziente è stata resa edotta riguardo l’intervento di posizionamento degli impianti in anestesia generale al fine di ottenere una riabilitazione protesica fissa per la quale la stessa paziente era molto motivata soprattutto dal punto di vista estetico.
Le dime chirurgiche sono state realizzate in laboratorio per entrambe le arcate (figg. 3, 4); l’intervento è stato effettuato in anestesia generale con intubazione nasotracheale e sono stati inseriti degli impianti in posizione 11, 21, 25, 35, 36, 46.
L’impianto in sede 45 è stato posizionato successivamente dopo un’ulteriore valutazione del progetto protesico per un’adeguata distribuzione dei carichi masticatori ed è stato fatto guarire in due fasi come per gli altri impianti inferiori (fig. 5). È stato deciso di procedere al carico immediato degli impianti dell’arcata superiore, pertanto sono stati inseriti i monconi preinclinati a 15° (fig. 6) che si preparano in bocca (fig. 7).
Nella stessa seduta è stato adattato un provvisorio precedentemente preparato (fig. 8).
Per i restanti impianti, essendo localizzati nei settori posteriori e non presentando problemi estetici, si decideva di procedere secondo la tecnica tradizionale a due fasi. In fase postoperatoria veniva eseguita l’OPT di controllo per verificare il corretto posizionamento delle fixture (fig. 9).
Venivano effettuati controlli a intervalli di due settimane per verificare le condizioni di stabilità degli impianti sottoposti a carico immediato e il condizionamento dei tessuti molli (fig. 10).
A distanza di quattro mesi, necessari alla osteointegrazione, sono stati riaperti i siti implantari restanti e posizionati i tappi di guarigione.
Ottenuto il condizionamento dei tessuti molli si passava alla fase protesica definitiva: transfer per l’impronta, posizionamento degli analoghi di laboratorio (fig. 11), realizzazione dei monconi e del manufatto protesico provvisorio dell’arcata inferiore comprendente anche i monconi dei denti naturali (figg. 12, 13, 14).
Si procedeva alla fase finale del caso con la realizzazione e la prova delle mesostrutture per entrambe le arcate e la cementazione delle protesi di ceramica (figg. 15, 16, 17).
Realizzazioni protesiche:Â
Sig. Egidio Sassaroli e Sig. Giordano Cardinaletti
Laboratorio tecnico dell’UO di Odontostomatologia Chirurgica e Speciale di Ancona