Autori: Dott. Salvatore Belcastro, Dott. Leonardo Palazzo, Dott. Fulvio Floridi, Dott. Mario Guerra.
Introduzione
Il mantenimento osseo peri-implantare ha da sempre rappresentato un interessante oggetto di dibattito dal momento che ad esso è indissolubilmente legata la prognosi delle riabilitazioni protesiche a supporto implantare; il riassorbimento osseo crestale può inoltre, anche nei casi più lievi, determinare un collasso dei tessuti molli ed influenzare negativamente l’estetica degli elementi implanto-protesici. Sono tuttora in corso di accertamento i fattori in grado di modulare tale rimodellamento. Alcune conoscenze sembrano tuttavia acquisite dal momento che la ricerca scientifica sembra convergere verso gli stessi risultati.
Già dagli anni ‘70 ed ‘80 le osservazioni cliniche e sperimentali (valutazioni radiologiche ed istologiche) evidenziavano un costante decremento nel tempo del livello osseo peri-implantare ad iniziare dal momento in cui gli impianti venivano esposti nel cavo orale. Una certa quota di riassorbimento osseo peri-implantare era ed è tuttora considerata fisiologica tanto è vero che lo stesso Albrektsson[1] tra i suoi criteri di successo per gli impianti osteointegrati, universalmente accettati, inserisce anche il rimodellamento osseo peri-implantare; secondo i suddetti criteri la perdita ossea non deve essere superiore ad 1 mm durante il primo anno ed a 0,2 mm annualmente dopo il primo anno di utilizzo degli impianti.
Il riassorbimento può manifestarsi con diversi aspetti. Nei casi più gravi si può arrivare fino alla completa perdita dell’osteointegrazione ed al fallimento della terapia. Esistono poi situazioni molto più frequenti in cui gradi più o meno severi di riassorbimento portano all’insorgenza di problematiche di tipo estetico, quali il
collasso dei tessuti molli, l’allungamento delle corone cliniche, la scomparsa delle papille, la visibilità di componenti metalliche, tutte situazioni che possono portare ad insuccessi estetici particolarmente importanti nei settori anteriori (figg. 1, 2) .
Tralasciando la trattazione del riassorbimento osseo patologico la cui insorgenza può essere, in genere, evitata rispettando adeguati protocolli operativi e di mantenimento, ci soffermeremo sul riassorbimento osseo fisiologico o rimodellamento crestale e sui possibili fattori in grado di modularlo, dal momento che lo stesso non appare costante per entità e modalità di insorgenza. Nell’ambito dei fattori in grado di influenzare il riassorbimento osseo peri-implantare, di particolare rilievo appaiono la micro e macro-morfologia implantare a livello del collo nonché le caratteristiche della connessione protesica ed il cosiddetto “platform switching”, di cui si tratterà ampiamente più avanti.
Riassorbimento osseo peri-implantare fisiologico
Il riassorbimento osseo peri-implantare fisiologico è stato da sempre considerato una normale conseguenza dell’esposizione implantare all’ambiente orale ed ai batteri; non si manifesta finché gli impianti rimangono sommersi ma subito dopo l’esposizione, che avviene con la seconda fase chirurgica nella tecnica sommersa oppure immediatamente, subito dopo il posizionamento implantare, se si adotta la tecnica non sommersa o mono-fase. Nell’ambito del rimodellamento osseo crestale si tende attualmente a dare molta importanza a fattori biologici legati all’esposizione degli impianti all’ambiente del cavo orale, che determina la creazione di una ampiezza biologica anche negli impianti non caricati ma semplicemente esposti.
Secondo uno studio di Berglundh[2] sono necessari approssimativamente 3 mm di tessuti molli peri-implantari per creare una barriera intorno agli impianti. Ciò suggerisce che il riassorbimento osseo potrebbe crearsi quando lo spessore dei tessuti molli peri-implantari non è sufficiente a creare questo effetto barriera.
Utilizzando sistematiche implantari con connessione protesica avvitata (figg. 3, 4), l’esperienza clinica di migliaia di operatori unita agli inequivocabili risultati delle ricerche di Hermann[3,4] e di altri autori,[5] hanno dimostrato che, indipendentemente dalla posizione della connessione protesica rispetto alla cresta ossea (pari-cresta o endo-crestale), al momento dell’esposizione degli impianti nel cavo orale, l’osso si riposiziona circa 2 mm apicalmente rispetto alla connessione protesica.
Oltre alla già citata teoria dell’ampiezza biologica, secondo cui il rimodellamento crestale appare una conseguenza inevitabile dell’esposizione degli impianti nel cavo orale, in letteratura sono stati proposti diversi altri fattori in grado di influenzare il suddetto rimodellamento; tra questi possiamo citare fattori legati alla micro e macro-morfologia implantare a livello del collo e fattori legati alla connessione protesica.
Il tipo di trattamento di superficie del collo e della porzione coronale degli impianti ha da sempre rappresentato un interessante oggetto di dibattito.
È noto come l’osteointegrazione avvenga in tempi più rapidi e con BIC (“Bone-to-Implant Contact”, percentuale di contatto osso-impianto) più alta sulle superfici trattate rispetto a quelle lisce.[6] L’assenza di trattamento di superficie a livello della porzione coronale dell’impianto è stata chiamata in causa come probabile cofattore nel rimodellamento osseo crestale; per tale motivo alcune aziende hanno rivisto il concetto del collo e della porzione coronale implantare lisci, proponendo un trattamento di superficie esteso anche in queste ultime zone.
La connessione protesica rappresenta una zona di importanza cruciale nell’ambito delle riabilitazioni protesiche a supporto implantare, dal momento che la stessa può essere considerata come un locus minoris resistentiae sia dal punto di vista meccanico che biologico ed estetico. Dal punto di vista meccanico il cedimento strutturale degli elementi di accoppiamento (viti di serraggio del moncone protesico) rappresentano l’inconveniente più frequente delle connessioni protesiche di tipo avvitato. La connessione conometrica presenta indubbi vantaggi meccanici rispetto alla connessione avvitata; l’assenza di viti di serraggio scongiura inconvenienti quali lo svitamento o la frattura delle stesse, garantendo al manufatto protesico una elevata affidabilità nel tempo. Senza addentrarci nell’ambito delle problematiche meccaniche legate alla connessione protesica, di particolare rilievo appaiono invece alcune considerazioni legate agli aspetti biologici, tra cui il mantenimento osseo crestale, che dalla stessa connessione protesica sono influenzati. Lo scarso sigillo marginale,[7,8] tipico delle connessioni avvitate, associato ai micro-movimenti moncone-impianto ed alla trasmissione del massimo carico a livello crestale, potrebbero essere responsabili del tipico pattern di rimodellamento osseo crestale che si osserva nelle sistematiche implantari che prevedono connessioni di tipo avvitato; per contro l’ottimo sigillo marginale tipico delle connessioni conometriche, nonché l’assenza di micro-movimenti moncone-impianto, che formano virtualmente un pezzo unico, e la trasmissione del carico a livello dell’intera geometria implantare ad esso associati, potrebbero essere tutte cause del miglior mantenimento osseo crestale osservato nelle sistematiche implantari a connessione conometrica (figg. 5, 6).
A tal proposito particolarmente interessante appare lo studio di Ericsson,[9] in cui, utilizzando sistematiche implantari a connessione avvitata sui cani, veniva costantemente evidenziata la presenza di un infiltrato infiammatorio intorno alla connessione protesica, e lo stesso veniva chiamato in causa come probabile fattore del riassorbimento osseo di circa 1 mm che normalmente si verifica dopo un anno di carico funzionale.
Molto interessante appare anche lo studio di Tenenbaum[10] effettuato sempre sui cani ma utilizzando, a differenza del precedente, sistematiche implantari a connessione conometrica: in questo studio viene evidenziata l’assenza di infiltrato infiammatorio nei tessuti molli peri-implantari.
L’assenza di micromovimenti a livello della connessione moncone-impianto associata alla drastica riduzione del microgap a livello della stessa connessione, come dimostrato dagli studi di Weng e di altri autori,[11,12,13,14] consente un mantenimento osseo peri-implantare nel tempo ad un livello pressoché identico a quello del momento del posizionamento; da ciò deriva la possibilità, qualora le necessità estetiche lo richiedano, di un posizionamento implantare endo-crestale, nel pieno rispetto della biologia ossea e della peri-implantare. L’assenza di infiltrato infiammatorio peri-implantare determina inoltre un elevato grado di salute dei tessuti molli peri-implantari con significativo impatto sull’estetica gengivale delle protesi a supporto implantare (figg. 7-10).
In questi ultimi anni si parla sempre di più di un concetto, per alcuni aspetti nuovo, che potrebbe rappresentare un ulteriore tassello nell’ambito delle conoscenze relative al mantenimento osseo peri-implantare, il concetto di platform switching. Nella parte che segue saranno sviluppate alcune conoscenze acquisite su tale concetto cercando di dare una risposta al quesito proposto nel titolo del presente articolo.
Platform switching
Il concetto di platform switching consiste nell’utilizzo di abutment di piccolo diametro posizionati su impianti di diametro più largo (fig. 11).
Si viene in tal modo a creare un gradino tra la porzione più coronale dell’impianto e la parte iniziale del pilastro protesico. La “scoperta” del platform switching è stata casuale; utilizzando monconi standard su impianti larghi da 5 o 6 mm non si osservava il tipico pattern di rimodellamento osseo peri-implantare. Secondo Lazzara[15] con il platform switching si riduce il diametro della connessione protesica concentrando l’infiltrato infiammatorio al di sopra della piattaforma implantare e non lateralmente, riducendo in tal modo il rimodellamento osseo peri-implantare. In pratica l’ampiezza biologica di circa 3 mm tiene conto, nel caso del platform switching, anche della quota di piattaforma implantare non coperta dall’abutment e dunque si riduce in altezza. I vantaggi di tale soluzione sono funzionali, dal momento che viene mantenuto il livello osseo, ma anche estetici, dal momento che si realizza un buon mantenimento dei tessuti molli peri-implantari.[16] Il ridotto volume transmucoso del moncone consente un aumento del volume dei tessuti molli peri-implantari costituendo un efficace effetto barriera contro la penetrazione batterica e la migrazione apicale dell’epitelio del solco, che conducono ad un riassorbimento osseo.
Per ottenere i benefici del platform switching è essenziale che lo “switch”, e cioè l’emergenza del moncone più piccola rispetto alla piattaforma implantare, venga posto in essere già al momento del posizionamento implantare, soprattutto se gli impianti vengono posizionati ad un livello endocrestale.
Il concetto di Platform switching in realtà non è completamente nuovo se si pensa che le sistematiche implantari a connessione conometrica lo adottano da sempre. La tipica geometria della connessione conometrica che non permette l’accoppiamento piatto-contro-piatto tra piattaforma implantare e base del moncone rappresenta un classico esempio di applicazione del platform switching. Anche in questo caso l’utilizzo della tecnica monofase con tappo di guarigione conometrico permette l’applicazione dello “switch” già al momento del posizionamento implantare. Tra i fattori maggiormente implicati nel rimodellamento osseo crestale, alla luce delle attuali conoscenze, i piu importanti sono rappresentati dal passaggio batterico dall’interno dell’impianto tramite la connessione protesica, con conseguente infiltrato infiammatorio cronico peri-implantare, e dai micromovimenti del moncone rispetto all’impianto. L’unico sistema in grado di eliminare entrambi i citati fattori negativi è rappresentato dalla conometria; solo la conometria consente infatti la quasi totale eliminazione del gap moncone-impianto e l’annullamento dei micromovimenti, trasformando virtualmente l’unità impianto-moncone in un pezzo unico.
Il platform switching artificiosamente ottenuto da parte di sistematiche avvitate non conometriche con la semplice riduzione del diametro del moncone rispetto alla piattaforma implantare, o, peggio, aumentando la piattaforma implantare rispetto al moncone, non è utile al mantenimento dell’osso crestale, dal momento che non consente una riduzione del micro gap e dei micromovimenti moncone-impianto, importanti variabili realmente correlate al mantenimento osseo crestale.
Oltre ai già citati fattori in grado di influenzare il mantenimento osseo peri-implantari ne esistono diversi altri. Alcuni sono legati alla tecnica chirurgica, come la conservazione delle corticali, in particolare quella vestibolare, o la scelta del corretto diametro implantare, che deve necessariamente essere circondato da almeno 1 mm di osso per tutto il perimetro. Allo stesso modo l’applicazione di tecniche chirurgiche avanzate, come l’espansione orizzontale di cresta od il posizionamento post-estrattivo, possono essere seguite da un rimodellamento osseo crestale superiore alla media.
Impianto Exacone® e mantenimento osseo peri-implantare
L’impianto Exacone® prodotto dalla Leone, sul mercato da circa 6 anni, presenta delle peculiari caratteristiche, tali da renderlo particolarmente idoneo ad un buon mantenimento osseo peri-implantare.
L’impianto, di forma cilindrica, presenta una superficie ottenuta con un doppio processo di sabbiatura in modo da ottenere una rugosità media di 2,5 micron a livello del corpo implantare e di 0,5 micron a livello del collo.
La connessione protesica di tipo conometrico puro (Exacone®) presenta un esagono antirotazionale per facilitare le procedure protesiche riducendo le possibilità di posizionamento del moncone da infinite (come si realizza nelle connessioni conometriche prive di esagono) a sei (fig. 13).
L’accoppiamento conometrico puro consente una estrema riduzione del gap moncone-impianto, fino al valore di pochi micron (fig. 14).
Il concetto di platform switching è insito nella stessa connessione protesica (fig. 15).
Le osservazioni cliniche, con follow-up ormai di alcuni anni,[17,18] oltre che dimostrare un’elevata sopravvivenza implantare nel tempo, concordano anche su un ottimo mantenimento dell’osso crestale.
A titolo esemplificativo si illustra un caso di riabilitazione implanto-protesica singola a livello del canino superiore di sinistra.
Si tratta di un giovane paziente con agenesia del 23 e presenza in arcata del corrispettivo deciduo (fig. 16).
La radiografia OPT (fig. 17) mostrava un buon mantenimento osseo a livello della stessa zona.
L’estrazione atraumatica del dente deciduo (fig. 18) veniva seguita dalla preparazione dell’alveolo chirurgico in tecnica flapless (fig. 19) e dall’inserimento di un impianto Exacone® di 12 mm di lunghezza e di 3,3 mm di diametro (figg. 20, 21), seguito dalla immediata applicazione di una corona provvisoria in policarbonato (fig. 22), in completa assenza di contatti in massima intercuspidazione ed in lateralità (carico immediato non funzionale).
Dopo tre mesi si procedeva alla realizzazione ed alla consegna del manufatto definitivo in metallo-ceramica (figg. 23-26).
La possibilità di cementazione extra-orale, annullando il rischio di fuoriuscita del cemento nei tessuti peri-implantari, rappresenta un ulteriore vantaggio della connessione conometrica.
Il controllo clinico e radiologico a 3 anni dalla consegna mostra un ottimo mantenimento dei tessuti molli peri-implantari, delle papille e del livello osseo (figg. 27, 28).
Bibliografia
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Realizzazioni protesiche: Figg. 1-10: Laboratorio Odontotecnico Peducci e Monni – Perugia, Figg. 16-28: Laboratorio Odontotecnico Wilocs – Roma