Autori: Dr. Salvatore Belcastro, Dr. Fesal El Zoobi, Dr. Leonardo Palazzo, Dr. Mario Guerra.
Attualmente l’implantologia osteointegrata è una branca dell’odontoiatria, che riscuote successi anche e soprattutto nei pazienti edentuli, risolvendo situazioni altrimenti impensabili con protesi totali rimovibili convenzionali.
Lo stato dell’edentulo totale comporta delle conseguenze anatomo-funzionali ed estetiche. La perdita degli elementi dentali viene inevitabilmente seguita dalla perdita più o meno grave dei tessuti di sostegno degli elementi dentali stessi, osso alveolare e gengiva aderente. Nel mascellare superiore si ha un riassorbimento osseo prevalentemente centripeto con inizio a livello della corticale alveolare vestibolare, mentre in quello inferiore il riassorbimento è prevalentemente di tipo centrifugo con interessamento primario dalla corticale alveolare linguale; tutto ciò determina una tendenza alla terza classe scheletrica aggravata dall’ante-rotazione mandibolare come conseguenza della perdita di dimensione verticale scheletrica.
La perdita degli elementi dentali e la conseguente perdita in altezza dell’osso alveolare determina infatti una diminuzione della dimensione verticale scheletrica. Sul piano frontale si configura spesso una inversione del morso con tendenza al morso crociato bilaterale (figg. 1, 2).
Molto importante risulta perciò la fase diagnostica per la formulazione di un piano di trattamento accurato, che tenga conto di tutti quegli elementi che potranno condizionare il successo del manufatto implanto-protesico. Nell’esame extra-orale bisogna valutare simmetria e profilo facciale, dimensione verticale, classe scheletrica, morfologia e sostegno delle labbra, linea del sorriso. Bisogna poi fare particolare attenzione all’esame psicologico del paziente; quali sono le richieste, le aspettative e individuare i bisogni estetici e/o funzionali del paziente, ricordando che richieste estetiche eccessive possono limitare l’indicazione agli impianti.
La valutazione estetica comprende: linea del sorriso, forma e rapporti tra le arcate, grado di atrofia, quantità e qualità dei tessuti molli, sostegno delle labbra. Ci sono infatti delle situazioni e segnali estetici che mettono in “allarme” il professionista, in quanto condizioni particolari (giovane età, regione frontale, linea del sorriso alta, elevato riassorbimento tissutale; pazienti portatori di protesi totali rimovibili) e aspettative irrealizzabili controindicano la scelta terapeutica. L’iter diagnostico prevede la costruzione di modelli di studio e montaggio su articolatore, per valutare i rapporti tra le arcate nei tre piani dello spazio e lo spazio disponibile per la protesi. Essenziale è la diagnostica per immagine (Rx endorale, Rx ortopanoramica, teleradiografia latero-laterale, TC Dentascan®), e la registrazione fotografica del caso dalla situazione iniziale fino, se possibile, a tutti quei passaggi che portano alla conclusione del trattamento implanto-protesico. Grazie a queste informazioni si può costruire il progetto implanto-protesico, indispensabile guida per il posizionamento implantare e per le successive fasi protesiche (fig. 3).
Gli obiettivi della riabilitazione protesica sono la sostituzione dei tessuti persi, in modo da restituire al paziente una adeguata funzionalità in un contesto armonico con un’estetica il più vicino possibile a quella naturale.
Nell’edentulismo totale nella stragrande maggioranza dei casi i tessuti persi non sono soltanto gli elementi dentali, bensì anche la gengiva aderente e la mucosa alveolare, l’osso alveolare e basale.
Opzioni terapeutiche
Quando si è stabilito che non ci sono controindicazioni, il paziente può essere candidato alla terapia implantare.
A questo punto si deve scegliere insieme ad esso la terapia adeguata alle sue esigenze (fig. 4) (estetiche, psicologiche, funzionali, socio-economiche) e al substrato che il clinico si trova di fronte (quantità e qualità ossea, forma delle arcate, rapporti intermascellari, sostegno delle labbra e linea del sorriso).
Si distinguono generalmente tre grosse famiglie di riabilitazioni protesiche a supporto implantare: protesi fissa su impianti, protesi rimovibile su impianti e protesi fissa tipo Toronto Bridge.
Protesi fissa su impianti
Le indicazioni per la protesi fissa (figg. 5, 6) su impianti sono:
• una cresta poco riassorbita;
• buoni rapporti tra le arcate, sia in senso antero-posteriore che verticale e trasversale;
• possibilità di inserire gli impianti in corrispondenza dell’emergenza dei denti ed in corrispondenza dei settori posteriori retro-foramina e sotto-sinusali.
Tra i vantaggi della protesi fissa su impianti ritroviamo:
• un’estetica spesso soddisfacente;
• ottimi risultati funzionali e psicologici.
Tra gli svantaggi:
• in caso di atrofia marcata ed in pazienti con linea del sorriso alta, denti lunghi e problemi estetici;
• difficile sostegno delle labbra e problematiche fonetiche.
Protesi fissa tipo “Toronto Bridge”
Esistono svariate situazioni cliniche intermedie, difficilmente schematizzabili, in cui il substrato biologico e le esigenze del paziente sono intermedie tra quelle che potrebbero rappresentare le indicazioni alla protesi fissa su impianti e quelle che farebbero propendere per la scelta di una protesi rimovibile su impianti. Si tratta di situazioni caratterizzate da un moderato grado di atrofia associate ad un discreto mantenimento dei normali rapporti intermascellari sul piano frontale, verticale ed antero-posteriore.
In queste situazioni spesso c’è la possibilità, soprattutto nell’arcata inferiore, di inserire gli impianti solo nelle regioni anteriori; ancora più spesso la disposizione degli impianti, per motivi vari, non può seguire l’emergenza degli elementi protesici. Alle condizioni del substrato biologico ridotto molto spesso si associano le richieste del paziente per una protesi fissa. In situazioni del genere la convenzionale protesi fissa su impianti potrebbe creare importanti problematiche sia di carattere estetico (mancata corrispondenza tra l’emergenza implantare e quella protesica, denti lunghi, profilo parodontale piatto con assenza di papille, ecc.) che di tipo funzionale (problematiche fonetiche).
La riabilitazione implanto-protesica tipo Toronto Bridge può risolvere nella maggior parte dei casi situazioni come quelle appena elencate.
La protesi di Toronto classica è stata proposta ormai da più di 40 anni e nasceva come sovrastruttura protesica avvitata su un numero di impianti variabile da 4 a 6 posizionati in zona mentoniera o mascellare anteriore. Per estendere il tavolato occlusale il più possibile distalmente venivano inseriti dei cantilever la cui estensione dipendeva da numerose variabili tra cui il numero e la disposizione degli impianti, la distanza tra di essi, il tipo di arcata antagonista ecc. La differenza principale rispetto ad una protesi fissa su impianti è che la protesi di Toronto prevedeva e prevede tuttora anche la sostituzione protesica dei tessuti molli. Altra differenza sostanziale è che la disposizione implantare non deve necessariamente corrispondere all’emergenza degli elementi dentali ma deve cercare di sfruttare al massimo l’osso disponibile.
Nel corso degli anni la protesi di Toronto è stata utilizzata nella sua veste originaria, variamente adattata alle diverse sistematiche implantari, in alcuni casi sostanzialmente modificata per quanto riguarda i materiali (ceramica al posto della resina) ma ha conservato due elementi costitutivi essenziali rappresentati dalla tipologia avvitata e dal fatto che venivano comunque sostituiti anche i tessuti molli.
In situazioni caratterizzate da un elevato grado di atrofia la protesi tipo Toronto Bridge può offrire diversi vantaggi. C’è la possibilità di recuperare discrepanze scheletriche marcate sia verticali che antero-posteriori senza dover ricorrere alla protesi rimovibile. L’estetica inoltre è spesso migliore rispetto a quella ottenibile con la protesi fissa grazie alla sostituzione dei tessuti molli.
A fronte dei suddetti vantaggi, spesso possono esserci alcuni aspetti negativi, legati in genere ad una errata esecuzione tecnica del manufatto, rappresentati dalla difficoltà nelle manovre di igiene orale e dalle problematiche fonetiche soprattutto per le riabilitazioni nell’arcata superiore.
Indubbiamente il motivo principale per cui tale tipo di riabilitazione non sempre riscuote consensi da parte dei protesisti è rappresentato dal fatto che si tratta di una protesi di tipo avvitato, in controtendenza al sempre maggior utilizzo di protesi cementata. Senza addentrarci nell’ambito delle problematiche che portano alla scelta di una riabilitazione protesica di tipo avvitato o cementato ci limitiamo soltanto a ricordare le maggiori difficoltà tecniche nella realizzazione di sovrastrutture avvitate (difficile ottenimento del fitting a livello di tutti gli impianti) ed il sempre presente rischio di cedimento delle viti di fissaggio per svitamento o frattura.
Indubbiamente la tipologia cementata consente una più agevole ricerca del fitting per una buona passivazione della struttura; i limiti di tale approccio sono legati alle capacità ritentive dei monconi che potrebbero non essere sufficienti in situazioni di notevole angolazione, come spesso succede nell’arcata superiore, o in condizione di scarso spazio disponibile per la struttura in senso verticale che potrebbe condizionare l’altezza e quindi le capacità ritentive dei monconi stessi.
Nella nostra esperienza clinica abbiamo adottato integralmente il concetto della cementazione delle sovrastrutture protesiche esteso anche a riabilitazioni tipo Toronto Bridge.
A titolo esemplificativo si illustra un caso di edentulia superiore trattata mediante l’inserimento di 6 impianti e successivamente finalizzata con una protesi tipo Toronto Bridge cementata.
Caso clinico
Si tratta di una paziente di sesso femminile con edentulia totale a carico dell’arcata superiore (figg. 14, 15, 16).
L’esame ortopanoramico (fig. 17) metteva in evidenza una discreta quantità di osso disponibile nel settore mascellare anteriore per cui si decideva per l’inserimento di 6 impianti. Lo scarso spessore vestibolo orale dell’osso residuo richiedeva tecniche espansive per l’inserimento degli impianti (fig. 18), tutti di diametro 3,3 mm. L’esame ortopanoramico (fig. 19), eseguito a 6 mesi dal posizionamento implantare, metteva in evidenza l’integrazione degli impianti confermata clinicamente al momento della seconda fase chirurgica (figg. 20, 21).
Le successive procedure protesiche hanno portato all’allestimento di un manufatto tipo Toronto Bridge da cementare sui monconi fresati al parallelometro (figg. 22, 23, 24, 25). Sono stati utilizzati denti di resina in commercio ed il rivestimento gengivale è stato effettuato con la comune resina rosa per protesi rimovibili. Due aspetti importanti da sottolineare sono rappresentati dalla robustezza della travata metallica in corrispondenza del cantilever e dall’estrema cura nella rifinitura e lucidatura a specchio delle zone protesiche iuxtagengivali.
Al momento della consegna i tessuti molli presentavano un buon grado di maturazione nonostante fossero trascorse solo due settimane dalla seconda fase chirurgica (figg. 26, 27, 28).
Il sorriso della paziente e l’estetica (figg. 29, 30) sono sovrapponibili a quelli ottenibili con una protesi totale rimovibile, il comfort e la funzione paragonabili a quelli di una protesi fissa su impianti.
Realizzazioni protesiche: Laboratorio Peducci e Monni – Perugia