Autori: Dr.ssa Irene Frezzato, Dr. Francesco Mangano, Dr. Alberto Frezzato
Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una considerevole evoluzione in campo implantare. Micro e macro-geometria degli impianti, connessioni implant-abutment più ricercate in termini di stabilità, di sigillo batterico, di forma atte a favorire una migliore costituzione dell’ampiezza biologica, maggiore consapevolezza dei tempi e del tipo di carico protesico, soluzioni protesiche più attente agli aspetti biologici della connessione, procedure chirurgiche implantari a sempre minore invasività, maggiore predicibilità delle tecniche ricostruttive delle selle edentule. Sono solo alcuni esempi dei progressi raggiunti. Tutto questo ci permette di trattare un numero via via crescente di pazienti che anni or sono avremmo difficilmente potuto trattare.
La buona predicibilità dei trattamenti implantari ha altresì condizionato le scelte terapeutiche in altre branche, come la conservativa e la parodontologia ed ha anche portato alcuni clinici a utilizzare l’implantologia come prima, se non unica, scelta terapeutica. Sembra, talvolta, che ci dimentichiamo che gli impianti non sono denti, ma sostituti dei denti. E in questa entusiastica adesione all’implantologia rischiamo di dimenticare il possibile rischio di malattia perimplantare. La malattia perimplantare costituisce una realtà con cui, prima o dopo, dobbiamo misurarci. Comprende due entità cliniche cui viene riconosciuta una genesi batterica (Lindhe e Meyle 2008): la mucosite peri-implantare e la peri-implantite (Zitzmann e Berglundh 2008). Negli anni abbiamo imparato molto su questa malattia, ma non abbiamo ancora una soluzione certa: cercare di prevenire la malattia perimplantare è l’unica opzione praticabile attualmente. La cura della perimplantite rappresenta una delle sfide future in campo implantare.
In questo articolo cerchiamo di illustrare questi concetti tramite la presentazione di alcuni casi clinici da noi trattati.
La mucosite peri-implantare consiste in una lesione infiammatoria localizzata alla mucosa peri-implantare senza evidenza clinica di perdita ossea. Può evolvere in peri-implantite. Se trattata è reversibile.
Il caso clinico di seguito esposto, rappresenta un esempio di come non si debba fare implantoprotesi, ma ci è utile come esempio di mucosite peri-implantare, oltreché di contenzioso medico-legale. È giunto alla nostra osservazione a distanza di 8 mesi dalla fine del trattamento consistito in una riabilitazione completa dell’arcata inferiore mediante procedura implantare post-estrattiva immediata con carico immediato a 48 ore.
La paziente accusa fastidio generalizzato alle gengive con saltuario dolore in alcuni distretti, sanguinamento spontaneo e alla spazzolatura, difficoltà nelle manovre igieniche, difficoltà masticatoria, estetica insoddisfacente. Le immagini cliniche e radiografiche (Figg. 1-7) mostrano come il risultato finale sia dovuto a non corretta formulazione del piano di trattamento e a non corretta esecuzione delle procedure chirurgiche e protesiche. Il posizionamento errato degli impianti nei tre piani dello spazio comporta l’esposizione delle spire, in particolare sul versante vestibolare, impedendo la formazione di una ampiezza biologica adeguata a preservare l’osso peri-implantare. La mancanza o la scarsità di gengiva aderente costituisce ulteriore fattore di aggravamento del quadro. Noi sappiamo che per poter eseguire una implantologia in un unico tempo dobbiamo essere in presenza di una adeguata banda di mucosa aderente (Warrer et al 1995; Schrott et al 2009).
La reversibilità della mucosite peri-implantare risulta legata ad una riduzione della carica batterica, attuabile tramite igiene professionale e domiciliare. Nel caso presentato mancano le condizioni anatomiche e biologiche per poter pensare ad una restitutio ad integrum. Si può eventualmente pensare ad una implantoplastica delle superfici implantari extra-ossee, dopo temporanea rimozione della protesi e apertura di lembo, con associati innesti di connettivo circum-implantari. È un trattamento di compromesso al fine di non dover rifare completamente il lavoro. In mancanza di trattamento tale quadro andrà nel tempo peggiorando fino a sfociare in una peri-implantite.
Con il termine di peri-implantite intendiamo un processo infiammatorio attorno agli impianti associato a significativo e progressivo riassorbimento osseo (EAO 2012). L’eziologia primaria è dovuta ad infezione batterica (Mombelli 2002) (Figg. 8, 9). Il caso di seguito riportato è stato trattato con un approccio chirurgico di osteoplastica e implantoplastica (Fig. 10). Tale approccio può essere utilizzato nelle zone non a valenza estetica e come trattamento di temporeggiamento. Ulteriori informazioni sulla metodica possono essere reperite nel libro: “L’impianto singolo: dalle evidenze scientifiche ai risultati clinici”; ISO Edizioni, ottobre 2014, pag.170-173.
in dagli anni ‘90 si è associato l’insuccesso implantare alla presenza rilevante di accumulo di placca batterica. Uno studio retrospettivo su 558 impianti (Brånemark System) in 159 pazienti ha rilevato che il 2% dell’insuccesso implantare dopo 2/3 anni era dovuto principalmente ad un rilevante accumulo di placca batterica (Van Steenberghe et al 1993). La perdita ossea non è reversibile (Albrektsson e Isidor 1994). Il fenomeno è stato studiato negli anni e oggi sembra esteso. Revisioni sistematiche della letteratura (Zitzmann e Berglundh 2008) hanno esaminato studi longitudinali e trasversali con almeno 50 pazienti trattati con impianti, per un periodo di almeno 5 anni di carico masticatorio.
Le mucositi peri-implantari si manifestano nell’80% dei soggetti e nel 50% degli impianti. Le peri-implantiti si manifestano nel 56% dei soggetti e nel 28% dei siti implantari. Una più recente revisione sistematica della letteratura (Atieh et al 2013) riguardante un totale di 1497 pazienti per complessivi 2283 impianti, riporta una mucosite implantare nel 63,4% dei soggetti e nel 30,7% degli impianti. La peri-implantite viene diagnosticata nel 18,8% dei soggetti e nel 9,6% degli impianti. Un recente lavoro (Schmidlin et al 2012) ha valutato la frequenza di peri-implantiti in Svizzera. La peri-implantite ha interessato il 5-6% degli impianti dopo 5 anni e il 7-9% degli impianti dopo 10 anni. Non sono evidenziate e confrontate le percentuali di peri-implantite dei diversi sistemi implantari.
Come emerge dai lavori sopra riportati notiamo una diversità di dati circa l’incidenza della malattia peri-implantare, dovuto sicuramente alla difficoltà di raggruppare dati provenienti da studi diversi, ma probabilmente anche ad una valutazione solamente radiografica, interpretando ogni riassorbimento osseo come peri-implantite. Attualmente per peri-implantite intendiamo un quadro clinico-radiologico in cui siano associati diversi aspetti: sondaggio elevato, sanguinamento, presenza di essudato, riassorbimento osseo radiograficamente evidenziabile.
La sola presenza di aumento della profondità di sondaggio e sanguinamento al sondaggio non sono di per sé indice di peri-implantite. Molti sono i fattori eziologici coinvolti nell’insorgenza della peri-implantite e diversi autori hanno cercato una correlazione con le caratteristiche di superfice (Albouy et al 2011; Renvert et al 2011). Se l’instaurarsi della malattia è simile tra impianti lisci e ruvidi, la differenza risiede nella progressione della malattia, sicuramente più rapida nelle superfici ruvide (Berglundh et al 2007; Renvert et al 2011).
Di contro revisioni sistematiche sugli impianti corti (Renouard e Nisand 2006; Annibali et al 2012) hanno dimostrato come le superfici ruvide giochino un ruolo fondamentale nella sopravvivenza implantare e permettano di raggiungere per gli impianti corti la stessa predicibilità degli impianti più lunghi. Un’altra revisione sistematica della letteratura (Zetterqvist et al 2013) riporta la presenza di peri-implantite in 23 studi con differenti sistemi implantari. I risultati a 5 anni non hanno mostrato aumento del rischio di insorgenza di peri-implantite per impianti completamente ruvidi rispetto agli impianti ibridi. Si può riflettere su come il periodo osservazionale di 5 anni sia insufficiente a trarre delle conclusioni in quanto la peri-implantite comincia ad avere una incidenza significativa dopo i 5-7 anni dal carico masticatorio.
L’esperienza clinica degli utilizzatori di impianti Morse Taper, e nel particolare di impianti Exacone, fa rilevare una più bassa incidenza di malattia peri-implantare rispetto a quanto riportato in letteratura. Recenti studi con follow-up a 10 anni su impianti Exacone (Mangano et al 2014) mostrano come complicanze biologiche di questo tipo sono, anche dopo 10 anni, eventi estremamente rari che colpiscono meno del 2% degli impianti inseriti. Infatti di 939 restauri implanto-protesici monitorati a 10 anni soltanto l’1,4% ha presentato complicanze biologiche (11 restauri su 15 impianti).
Si tratta di 2 impianti con mucosite peri-implantare, 10 impianti con infezioni peri-implantari dolorose (che sono state tutte trattate con successo, senza che gli impianti siano andati perduti) e 3 impianti con un riassorbimento osseo peri-implantare maggiore di 1,5 mm dopo il primo anno di carico senza alcun segno clinico di infezione peri-implantare. Questi dati potrebbero indicare che l’impiego di un sistema implantare con connessione a cono Morse, caratterizzato da un comprovato sigillo batterico (Zipprich 2011; Giorgini et al 2013), può contribuire alla riduzione dell’incidenza di malattia peri-implantare nel medio-lungo termine.
Il quadro clinico della peri-implantite si manifesta con severa flogosi mucosa (accumulo di placca, edema, arrossamento, sanguinamento spontaneo e indotto, fastidio e dolore gengivale, essudato purulento), con accentuata profondità di sondaggio, cui corrisponde una perdita ossea radiograficamente dimostrabile e, in fase tardiva, con mobilità dell’impianto (Figg. 11, 12). La lesione è irreversibile. L’impianto è perso.
La perdita dell’impianto comporta la programmazione di un nuovo piano di trattamento, non sempre di facile soluzione.
Il caso di seguito presentato riguarda un paziente di 54 anni giunto alla nostra osservazione a fine 2003 con un quadro di fallimento implantoprotesico su due impianti in sede 15 e 16 inseriti nel 2001 presso studio della zona. È un paziente a rischio perché parodontale, fumatore, diabetico, igienicamente non motivato. La protesi implantare è mobile, la gengiva dolente e secernente pus. L’unico piano di trattamento possibile è la rimozione degli impianti e la decontaminazione del sito tramite curettage in copertura antibiotica (Figg. 13-15).
A gennaio 2004 i tessuti sono guariti ed il quadro clinico e radiografico mostra una atrofia severa orizzontale e verticale al primo quadrante in zona distale al 14 (Figg.16, 17).
La diagnosi viene confermata dalle immagini TCCB. In particolare le varie sezioni panoramiche mostrano una ridotta altezza ossea da perdita di osso crestale e da espansione sinusale, con presenza di un ispessimento della mucosa sinusale da sinusite cronica iperplastica.
L’immagine assiale mostra una riduzione dello spessore crestale da perdita ossea vestibolare (Figg. 18,19).
Il trattamento da noi attuato consiste in una riabilitazione implanto-protesica di 15 e 16 mediante ripristino volumetrico del sito implantare contestuale all’inserimento dei due impianti.
L’apertura di un lembo a tutto spessore permette di eseguire un sinus lift lateral approach: la finestrella ossea viene ribattuta al di sotto della membrana sinusale scollata e sollevata, lo spazio sub-sinusale viene riempito di biomateriale e coperto con spugna di fibrina (Fig. 20).
Due impianti Exacone vengono inseriti in posizione 15 (diametro 3,3 mm) e 16 (diametro 4,1 mm) parzialmente extra-crestali, servendo di sostegno al biomateriale nella procedura GBR (Fig. 21).
Dal corpo mandibolare dx viene eseguito un prelievo di corticale vestibolare e di bone chips, utilizzati per il ripristino volumetrico verticale e trasversale del sito implantare (Figg. 22-24).
La stecca ossea viene fissata con una vite alla parete vestibolare del sito. Biomateriale in granuli viene aggiunto a copertura dell’innesto osseo (Figg. 25-27).
A quattro mesi si connettono i tappi di guarigione, dopo esposizione spontanea dei tappi di chiusura. I processi di guarigione hanno comportato un certo ritiro tissutale (Figg. 28, 29).
Il paziente è stato più volte informato della sua situazione di rischio. Nel tempo ha smesso di fumare, ha migliorato le abitudini alimentari, esegue una attenta igiene orale, e si presenta regolarmente ai controlli periodici.
A distanza di 13 anni il quadro clinico-radiografico risulta soddisfacente. La radiografia mostra un riassorbimento osseo peri-implantare in assenza di segni clinici di flogosi. Probabilmente il quadro si trasformerà in peri-implantite. Il paziente continuerà ad essere attentamente monitorato e sottoposto a terapia di supporto implantare (Figg. 32-34).
Riassumendo, abbiamo considerato due opzioni di trattamento della malattia peri-implantare: la chirurgia ossea resettiva con implantoplastica e l’estrazione dell’impianto con successiva rigenerativa ossea e implantoprotesi. I nostri goals prevedono una terza opzione: la ricostruzione dell’osso perduto e una nuova osteointegrazione dell’impianto. Le radiografie seguenti ne sono un esempio (Figg. 35, 36).
La paziente di 50 anni presenta una peri-implantite dell’elemento 46 con estensione all’impianto in posizione 47. Il trattamento consiste nella rimozione dell’impianto 46, nell’implantoplastica delle spire esposte del 47, nella rigenerativa ossea mediante innesto di biomateriale.
A guarigione avvenuta provvediamo ad inserire due nuovi impianti nella sella edentula, in posizione 45 e 46, che vengono protesizzati con corone singole analogamente all’impianto distale 47 pre-esistente (Figg. 37, 38).
In riferimento al 47, se risulta possibile ripristinare l’osso peri-implantare perduto, non sufficientemente comprovata e predicibile risulta un’eventuale re-osteointegrazione della superficie implantare prima esposta e trattata con implantoplastica.
La paziente andrà sicuramente monitorata nel tempo. La compliance è buona. La malattia peri-implantare rappresenta un insuccesso dei nostri trattamenti implantoprotesici.
Sappiamo che il risultato immediato e nel tempo è legato a fattori chirurgici, protesici, biologici tra loro necessariamente interconnessi. La compliance del paziente risulta fondamentale. La nostra tranquillità come professionisti è di eseguire le varie procedure con estrema accuratezza in base allo stato dell’arte. Esiste peraltro un quid di imprevedibilità indipendente dalla qualità del lavoro. Per questo confidiamo in Santa Apollonia, protettrice degli odontoiatri. Buon lavoro a tutti noi!
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