Autori: Dr. Leonardo Palazzo, Dr. Alessandro Fioroni, Dr. Salvatore Belcastro, Dr.ssa Cristina Rossi, Dr. Fulvio Floridi.
Negli ultimi anni sono stati pubblicati numerosi articoli su riviste nazionali e internazionali che documentano i risultati clinici degli impianti Leone. Oltre la documentazione sulla “sopravvivenza” degli impianti Leone, i vari autori hanno analizzato anche una serie di parametri clinici significativi circa il “successo” del trattamento implanto-protesico.
Si parla di “sopravvivenza” di un impianto dentale quando si fa riferimento alla sua permanenza, in funzione e sotto carico, nel cavo orale del paziente. Già nel 2007 sono stati pubblicati i primi trial clinici con un’analisi dei risultati a 12 mesi su un numero significativo di impianti; Guerra[1] e Grassi[2] hanno utilizzato rispettivamente 1253 e 207 impianti con una sopravvivenza del 98,48% per il primo autore e del 99,52% per il secondo. Nel 2009 sono seguiti due altri importanti lavori, il primo di Belcastro[3] con un follow-up medio di 46 mesi su 901 impianti Leone e il secondo di Mangano[4] a 48 mesi su 1.920 impianti Leone che riportano una percentuale di sopravvivenza del 97% e del 97,56%. Tra le numerose pubblicazioni spicca il lavoro di Mangano[5] del 2011 per l’elevato numero di impianti preso in esame: viene documentata una sopravvivenza del 98,23% su ben 2.549 impianti Leone con un follow-up fino a 6 anni. Successivamente sono stati pubblicati i primi follow-up a lungo termine per gli impianti Leone di piccolo diametro (3,3 mm),[6] di grande diametro (4,8 mm)[7] e per gli impianti corti (8 mm),[8] valutando a 10 anni una percentuale di sopravvivenza rispettivamente del 98,7%, 99% e 98,6%. Ottimi risultati sono stati documentati anche per l’impianto Leone extra-corto di 6,5 mm con una sopravvivenza del 97% a 5 anni.[9] Gli impianti Leone sono stati esaminati in tutte le principali indicazioni cliniche e protesiche: si contano ben 6 pubblicazioni sull’impianto singolo[10-15] con un follow-up a 12, 24 e 30 mesi fino ad arrivare alle pubblicazioni a 7 e 12 anni con percentuali di sopravvivenza che vanno dal 100% fino al 97,3%. Due pubblicazioni sono state dedicate alle overdenture su barra con follow-up a 48 mesi[16] e a 5 anni[17] documentando una percentuale di successo del 96,07% e del 97,9%. Altri studi analizzano specifiche tecniche chirurgiche come l’impianto post-estrattivo immediato,[18,14] impianti posizionati dopo trattamento ortodontico[19] e dopo il grande rialzo del seno mascellare[20,21,22] e impianti inseriti con carico immediato,[23] riportando in ciascun studio percentuali di sopravvivenza superiori al 95%.
Si parla invece di “successo” di un impianto dentale quando soddisfa una serie di criteri una volta posizionato nel cavo orale e protesizzato. Tali criteri sono correlati a determinati parametri clinici, alla sintomatologia e alla funzionalità della riabilitazione implanto-protesica. Solitamente si fa riferimento ai cosiddetti “criteri di Albrektsson”, dal nome del clinico che li propose alla comunità scientifica.[24] Recentemente alcuni criteri sono stati rivisti, tenendo conto dell’avanzamento tecnologico sia dei dispositivi implantari che degli strumenti di valutazione, ed anche delle nuove conoscenze scientifiche.[25] Molteplici studi sugli impianti Leone analizzano il successo del trattamento implanto-protesico negli anni[8,11,14,18,19,26] riportando percentuali tra il 97,12% e il 100%. Tra i parametri clinici presi in esame i seguenti due sono sicuramente molto significativi per determinare il successo del trattamento nel suo complesso: l’incidenza di complicanze protesiche e il mantenimento dei tessuti perimplantari negli anni.
Il termine “complicanze protesiche” è legato alle problematiche come il distacco della protesi, la frattura di materiale ceramico e la disconnessione impianto-moncone. In particolare, quest’ultima complicanza, l’unica legata al sistema implantare, è stata analizzata in 5 differenti trial clinici con follow-up a 10 e 12 anni,[6,7,8,15,27] ottenendo una percentuale complessiva di disconnessione dello 0,44% (14 casi su 3.185). Tale valore è nettamente inferiore se confrontato con una recente revisione sistematica della letteratura di 24 studi clinici con follow-up a 5 anni su sistemi implantari con connessione impianto-moncone a vite, riportando una incidenza cumulativa dell’allentamento delle viti di connessione (problema comparabile alla disconnessione impianto-moncone) pari a 8,8%.[28]
Il mantenimento dei tessuti perimplantari negli anni è un presupposto fondamentale per la preservazione a lungo termine del risultato estetico ottenuto. Belcastro[22] riporta nel suo trial clinico su 256 impianti Leone inseriti dopo grande rialzo del seno mascellare con un follow-up medio di 2,5 anni dal carico protesico un riassorbimento dell’osso crestale in media di 0,6 mm. Lo studio di Mangano[29] del 2016 effettuato su 20 impianti singoli Leone inseriti dopo trattamento ortodontico in sostituzione degli incisivi laterali mancanti, riporta un riassorbimento dell’osso crestale a 5 anni in media di 0,44 mm. Anche studi a lungo termine, come quello di Mangano[15] a 12 anni su 762 corone singole, confermano la stabilità dei tessuti perimplantari documentando un riassorbimento dell’osso crestale in media di 0,34 mm dopo 1 anno, di 0,46 mm dopo 6 anni e di 0,83 mm dopo 12 anni. Questi valori sono decisamente migliori rispetto ai criteri di successo generalmente considerati accettabili.[24]
La preservazione dei tessuti perimplantari è strettamente legata all’annullamento di gap e dei micromovimenti all’interfaccia impianto-moncone. Il seguente caso clinico, eseguito nel 2004, rappresenta una dimostrazione concreta dei benefici della connessione impianto-moncone del Sistema Implantare Leone testimoniando il mantenimento dell’osso crestale dopo 12 anni dal carico protesico.
La descrizione dell’intervento chirurgico e della finalizzazione protesica che riproponiamo è stata pubblicata nel 2005 nell’Exacone News Nr. 3.
Caso clinico
Paziente di anni 58.
L’esame obiettivo e l’OPT mostravano una situazione dento-parodontale molto precaria e assenza di numerosi elementi dentali (Figg. 1, 2).
L’esigenza del paziente era quella di riabilitare tramite protesi fissa a supporto implantare l’arcata superiore ed inferiore. L’ortopanoramica mostrava una buona quantità di osso residuo utilizzabile ai fini implantologici.
Il piano di trattamento prevedeva l’estrazione di tutti gli elementi dentali ed una riabilitazione fissa metallo ceramica a supporto implantare.
L’esame clinico evidenziava una buona conservazione della cresta ossea in senso verticale e degli spessori ossei vestibolo-orali. Si decideva per l’inserimento di 8 impianti a livello dell’arcata superiore ed 8 impianti a livello dell’arcata inferiore.
Durante l’intervento veniva eseguita exeresi chirurgica di cisti residua del mascellare superiore (Figg. 3-22).
La radiografia di controllo, effettuata a 6 mesi di distanza, mostra la perfetta integrazione di tutti gli impianti, confermata in seguito dalle osservazioni cliniche (Fig. 23).
Le successive fasi protesiche sono state condotte con le metodiche convenzionali ed hanno portato alla consegna di un manufatto protesico di 24 elementi metallo-ceramica (Figg. 24-32).
Dal sorriso del paziente si può notare il buon risultato estetico (Fig. 33).
Follow Up
Il controllo radiografico e clinico, effettuato a distanza di 12 anni dal carico protesico, mostra il mantenimento nel tempo del risultato ottenuto (Figg. 34-36).
Realizzazioni protesiche: Laboratorio Wilocs – Roma
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