Autore:Â Dott. Stefano Stura.
Ho conosciuto il dott. Stura circa due anni fa in quanto partecipante ad un mio corso presso la sede della Leone. Le sue stimolanti domande e il suo vivo interesse mostrarono fin dall’inizio che aveva maturato una significativa conoscenza implantare con le più importanti metodiche grazie ad anni di contatto diretto con un professionista di grande cultura ed esperienza clinica. Durante la tradizionale cena del secondo giorno di corso mi spiegò che era davanti ad una scelta professionale importante: doveva decidere quale sistema implantare utilizzare nella sua pratica privata e che la sua curiosità lo aveva portato a considerare la nostra sistematica per la particolarità della connessione che gli era sembrata semplice ed affidabile.
Alla fine dei quattro giorni di corso, al di là dei saluti di rito, mi rimase l’impressione di aver incontrato un altro collega che avrebbe avuto benefici dall’avere conosciuto il sistema Exacone® grazie anche all’apertura mentale e al pragmatismo della gioventù. Recentemente, durante un aggiornamento Exacone®, ho rincontrato Stefano e lui, oltre a riportarmi della sua soddisfazione riguardo l’impianto, mi ha mostrato delle immagini di un caso complesso risolto con pochi passaggi operativi e con un’impressionante qualità estetica e funzionale. È stato spontaneo chiedergli di documentare tutti i passaggi con un breve commento per condividere la sua esperienza a dimostrazione che l’unione di capacità intellettuale e clinica con un dispositivo semplice e predicibile come l’impianto Exacone® porta a benefici sia per il team odontoiatrico che per il paziente.
Leonardo Targetti
La paziente di 58 anni, si presenta in studio lamentando problemi estetici e di mobilità del manufatto protesico superiore.
Ad una prima visita, avvalorata successivamente da una radiografia opt (fig. 1), si evidenziarono problemi di origine parodontale endodontica e cariosa, solamente il 1.6 era in buone condizioni (figg. 2-4). La paziente aveva espresso il desiderio di essere riabilitata con una protesi fissa, senza dover sottoporsi a dei trattamenti molto lunghi ed invasivi. La prima fase è stata la bonifica dell’arcata con l’estrazione dei residui radicolari, il riempimento degli alveoli con del biomateriale (Fisiograf Gel) e la trasformazione del suo vecchio lavoro in una protesi parziale rimovibile.
A due mesi dalle estrazioni, pronti per l’intervento, si è studiata l’anatomia del mascellare e fatto realizzare dal tecnico una dima chirurgica a supporto dentale e mucoso, sulla base della ceratura di diagnosi, che ci permettesse in fase operatoria di poter scegliere in maniera arbitraria, dove posizionare gli impianti a seconda degli spessori ossei residui, tenendo in considerazione l’ingombro protesico futuro (figg. 5-10).
Si è eseguito un lembo a spessore totale centrocrestale da 1.6 a 2.6, trovando un parodonto molto spesso e una cresta abbastanza riassorbita in senso sagittale, che però non ci ha impedito di posizionare, leggermente sottocresta in maniera protesicamente guidata, tre impianti da 3.3×12 mm, due da 3.3×10 mm e uno da 4.1×10 mm. Tutti gli impianti avevano un’ottima stabilità primaria calcolata tramite inserimento a manipolo con micromotore all’incirca intorno ai 35 Newton; posizionati i tappi di chiusura li abbiamo sommersi per quattro mesi (figg. 11-17).
Alla riapertura (fig. 18), valutata la stabilità degli impianti e posizionati i tappi di guarigione (fig. 19), la paziente veniva controllata settimanalmente per valutare lo stato di guarigione dei tessuti e scegliere il momento opportuno per il rilevamento delle impronte; manovra eseguita con estrema velocità e con la possibilità di rilevare contestualmente anche elementi dentali rispetto alle tecniche avvitate (fig. 20).
Dopo aver realizzato il modello master, veniva confezionato un vallo di articolazione per la registrazione dalla dimensione verticale e successivamente inseriti i modelli in articolatore a valori medi (figg. 21-22). Dalla ceratura diagnostica in precedenza eseguita (fig. 23), abbiamo realizzato delle mascherine in silicone, che ci hanno guidato per la scelta dei monconi e la successiva fresatura degli stessi (figg. 24-26), fase molto semplificata dai nuovi monconi 360° (figg. 27, 28), visto la facilità per l’ottenimento del parallelismo tra gli stessi e già anatomicamente preparati.
Dopo questa fase, sullo stesso modello, abbiamo eseguito il provvisorio condizionando i tessuti molli con un profilo d’emergenza deciso dall’anatomia coronale, verificato successivamente in bocca e trasferito tramite l’aggiunta di una particolare cera sulla struttura eseguita in monofusione del lavoro protesico definitivo, replicando l’esatto profilo di emergenza dato ai provvisori (fig. 29).
Dopo circa tre mesi dall’inserimento del provvisorio implantosupportato (fig. 30), siamo arrivati ad ottenere una buona festonatura e un’ottima salute dei tessuti peri-implantari. A questo punto abbiamo provato la struttura definitiva (fig. 31) e, verificata la congruenza sui monconi e il sostegno dei tessuti, abbiamo rilevato l’impronta di posizione e contestualmente la preparazione di 1.6 per la realizzazione di una corona singola in metallo ceramica (fig. 32).
Con la realizzazione del secondo modello, abbiamo portato a completamento il caso, eseguendo la ceramica con la tecnica press-to-metal. Tale tecnica ci ha permesso di mantenere la stessa anatomia e occlusione decisa sul provvisorio, andando a ottimizzare il colore scelto tramite tecnica di pittura nei settori posteriori e stratificazione individuale nel settore anteriore (figg. 33-44). Sicuri della pianificazione del caso abbiamo immediatamente eseguito la cottura di autolucentezza e consegnato il lavoro alla paziente che finalmente ha potuto riottenere il piacere di sorridere (figg. 45-52).
Realizzazioni protesiche:Â Laboratorio Dental Point di Giovanni Montironi – Montecassiano (MC) Â Â