Autore: Dott. Giancarlo Romagnuolo.
In questo articolo si vuole mettere in evidenza come, negli ultimi decenni, l’inserimento di impianti in zone fortemente atrofiche, quali le aree posteriori del mascellare superiore, sia stato sempre più possibile passare da tecniche chirurgiche più invasive, suscettibili di complicazioni e nelle mani di pochi operatori, a tecniche sempre meno invasive, quindi meno rischiose, nelle mani di un gran numero di operatori e più accettate dai pazienti. Questa semplificazione dei protocolli chirurgici conferma l’efficienza della semplicità : l’impianto Leone presenta caratteristiche morfologiche e funzionali in linea con gli attuali orientamenti.
In passato l’inadeguata morfologia e volume osseo rappresentavano una controindicazione alla riabilitazione protesica mediante impianti osteointegrati. Le regioni posteriori edentule del mascellare superiore, a causa della presenza del seno mascellare e della loro tendenza a riassorbirsi progressivamente, hanno sempre costituito un limite tale per cui l’odontoiatra aggirava il problema utilizzando protesi con estensioni distali o posizionando in modo inclinato quando possibile, mesiale o distale, gli impianti. La riabilitazione orale mediante uso di impianti è oggi diventata una pratica estremamente diffusa perché coronata da un’alta percentuale di successo. Negli anni recenti si è assistito ad una crescente diffusione dell’intervento di rialzo del seno mascellare associato al trattamento implantare per ripristinare morfologia e volume d’osso adeguati. È importante sottolineare che l’esecuzione di un rialzo sinusale, a prescindere dalla tecnica utilizzata, presuppone che si abbia un’ottima conoscenza dell’anatomia (Fig. 1) e della fisiologia di tale distretto anatomico in modo da consentire, insieme ad un’accurata anamnesi, la selezione del caso, il tipo di intervento, di identificare le controindicazioni ed evitare le complicanze intra e post-operatorie.
Il primo lavoro scientifico riguardante il trattamento di pazienti con impianti endossei, associato ad intervento di rialzo del seno mascellare, fu pubblicato nel 1980 da Boyne e James. L’accesso al seno mascellare avveniva mediante antrostomia, consistente nella creazione di una finestra ossea nella parete anteriore del mascellare, scollamento della membrana di Schneider, inserimento dell’innesto e chiusura dell’apertura. Nel tempo molti Autori hanno sviluppato e proposto diverse tecniche di elevazione del seno mascellare che si differenziano in base a: protocollo chirurgico; sede anatomica di accesso; tipo di materiale da innesto; tempistica di inserimento degli impianti rispetto all’intervento di rialzo del seno; entità dell’elevazione della membrana.
Un approccio chirurgico meno invasivo per il rialzo del seno attraverso la via crestale è stato proposto nel 1986 da Tatum e successivamente perfezionato da Summers nel 1994. La procedura OSFE (Osteotome Sinus Floor Elevation) si prefigge di sollevare il pavimento del seno utilizzando l’osso ottenuto dalla preparazione del sito osteotomico (Figg . 2-5), mentre la tecnica BAOSFE (Bone Added Osteotome Sinus Floor Elevation) ottiene lo stesso risultato utilizzando materiale da innesto, che viene spinto nel sito osteotomico mediante una serie di osteotomi (Figg. 6-12).
Entrambe le tecniche possono essere utilizzate, sia per un singolo che per molteplici impianti che presentino stabilità primaria; sono considerate altamente predicibili quando l’altezza della cresta residua è di almeno 5-6 mm (Summers) e quando l’entità dell’incremento verticale necessario è di circa 3,5 mm. Oggi la tecnica del rialzo del seno mascellare per via crestale si è spinta ben oltre i limiti suddetti. Ciò comporta maggiori rischi di perforazione della membrana di Schneider per la maggiore tensione a cui è sottoposta su un’area abbastanza limitata. Infatti, la presenza di 2 siti implantari contigui consente di ridurre e distribuire la tensione quando si debbano fare incrementi cospicui.
Altra possibilità di ridurre i rischi di perforazione della membrana, nel caso di impianto singolo con osso residuo di partenza inferiore a 5 mm, è il Future Site. Tale tecnica è realizzata in due tempi chirurgici; un primo intervento di incremento osseo (Figg. 16-23) seguito, a distanza di tre mesi, da un secondo per un ulteriore incremento osseo e contestuale inserimento dell’impianto.
Illustrazioni a cura del reparto grafica Leone S.p.A.
Infine procedere spingendosi oltre lo standard previsto dalla tecnica e adottare gli accorgimenti menzionati, siti contigui e Future Site (Figg. 24-27).
Si comprende come numerose modificazioni dell’approccio crestale all’aumento del seno mascellare sono state introdotte da vari Autori, dopo l’originale descrizione fatta da Summers.
La sistematica Leone racchiude, con il protocollo chirurgico per via crestale, le caratteristiche morfologiche e di superficie implantare, i concetti attuali della letteratura a riguardo.
La forma cilindrica dell’impianto consente di sviluppare una superficie maggiore per avere un’ampia aerea di contatto osso-impianto (BIC), che non sarebbe tale se l’impianto fosse conico. L’apice arrotondato, non acuto, evita di generare tensioni o traumi che potrebbero lacerare la membrana. La rugosità di tutta la superficie rende l’impianto completamente disponibile al processo di osteointegrazione.
Ad esempio, l’impianto Ø 4,1 x 8 mm rappresenta l’ideale in quei casi dove la disponibilità ossea è inferiore o pari a 5 mm: non richiede entità notevoli di incremento, riduce i rischi di lacerazione della membrana per la non eccessiva tensione della stessa (come già sottolineato, ciò è dovuto alla morfologia apicale non acuta) e genera, grazie alla rugosità e all’assenza di colletto liscio, una maggiore superficie implantare a contatto con l’osso (BIC), utile al processo di osteointegrazione (Fig. 28).
Inoltre, il sistema implantare Leone offre un’alternativa con l’impianto corto 6.5, che dà un’ulteriore possibilità di riabilitazione implanto-protesica ove non si voglia affrontare la variabile dell’intervento per via crestale per incrementare la disponibilità ossea.
Descriveremo due casi clinici, nei quali si è proceduto a riabilitare la zona del primo molare superiore di sinistra 2.6. Nel primo caso (Figg. 29-32) si è proceduto mediante rialzo parcellare per via crestale con innesto eterologo e contestuale inserimento di impianto; nel secondo caso (Figg. 33-41) la procedura si è differenziata per la tecnica del Future Site eseguita in 2 fasi chirurgiche a 3 mesi di distanza l’una dall’altra.
Anamnesi: oltre alle consuete informazioni da sapere in vista di un intervento di chirurgia orale è necessario raccogliere informazioni passate e prossime dal punto di vista otorinolaringoiatrico e, inoltre, se in passato il paziente abbia sofferto di vertigini poiché ciò costituirebbe una controindicazione alla tecnica con gli osteotomi.
Radiologia: l’ortopanoramica rappresenta la visione d’insieme, ma deve essere obbligatoriamente accompagnata da una radiografia endorale periapicale con tecnica del parallelismo per il rapporto dimensionale 1.1. Dall’osservazione dell’endorale se dovessero esserci dubbi diagnostici sulla presenza di recessi posteriori o presenza di setti, è consigliabile eseguire un esame tridimensionale Cone Beam, anche per ragioni dosimetriche e medico-legali.
1° Caso – Zona 2.6, osso crestale residuo 3,6 mm
2° Caso – Zona 2.6, osso crestale residuo 3 mm
Realizzazioni protesiche: Laboratorio Marconi di Torino